Amore nella Professione: è il messaggio che Giuseppe Moscati ha emanato, è l’elemento ricorrente, il filo conduttore della Sua vita.
1880, il 25 luglio Giuseppe Maria Carlo Alfonso Moscati nasce a Benevento. Il padre Francesco è presidente del Tribunale.
1884 La Famiglia Moscati si trasferisce a Napoli, dove il Padre ha l’incarico presso la Corte d’Appello.
1892 Il fratello Alberto di 19 aa., militare in carriera, durante una parata militare a Torino, cavalcando una puledra bizzarra, cade battendo la testa, riportando un grave trauma encefalico: residua una cicatrice, un focolaio epilettogeno severo che condiziona un deterioramento psico-fisico progressivo, irreversibile ed infine completamente invalidante.
Il giovane Giuseppe, di 10 anni più piccolo, si accosta così per la prima volte alla malattia; capisce il significato dell’assistenza fattiva alle esigenze di chi è malato, del dolore fisico e del suo riverbero morale ed emotivo, soffrendone profondamente. Tale grave episodio familiare rimarrà sempre presente nel cuore e nella mente di Giuseppe, tale da condizionare, anni dopo, la scelta della Facoltà di Medicina, unico esempio familiare, anziché di quella di Giurisprudenza, auspicata dal padre.
1897 Consegue la maturità classica. Si iscrive quindi alla Facoltà di Medicina. Stesso anno, il 21 dicembre muore il Padre. Il genitore 61enne, viene colpito due giorni prima da un ictus: per le prime ore è presente, parla con proprietà ed ha l’occasione di riunire la moglie ed i cinque figli: Gennaro, Anna (Nina), Domenico, Francesco e Giuseppe. Con loro ha parole d’amore e di coscienza, quale lucido ed affettuoso testamento verbale. Il giorno dopo cade in coma e decede nelle 24 ore successive (verosimilmente per ictus emorragico, data la successione degli eventi).
1903, 4 agosto, Giuseppe si laurea in Medicina e vince il concorso per aiuto straordinario agli Ospedali Riuniti.
La laurea è a pieni voti, con il diritto alla pubblicazione della tesi, dal titolo “Urogenesi epatica”. Egli sceglie quindi la carriera ospedaliera, in alternativa al concorso di Assistente Universitario per una Cattedra di insegnamento ed alla libera professione e di Medico condotto.
E’ di grande spessore il momento storico, culturale e filosofico in cui è immerso Giuseppe Moscati nella sua adottiva Napoli.
Dissoltosi ormai quasi completamente il pensiero di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Stoccarda, 1770 – Berlino, 1831) con il suo concetto dinamico e creativo dell’Idea che identifica l’Universo con lo Spirito, e ciò ben oltre la sua morte avvenuta nel 1831, si afferma, soprattutto in ambiente universitario, il positivismo, anticristo momentaneo, del pensiero di Isidore Marie Auguste François Xavier Comte (Montpellier, 1798 – Parigi 1857): è materialismo divinizzato, naturalismo scientifico intransigente; è la religione della Scienza, della Fede agnostica. Si esclude da ogni ricerca ciò che è assoluto o metafisico, limitando l’indagine a ciò che è relativo, fenomenico, pratico e concreto. Al riguardo molte personalità europee emergono in questo contesto: sono Vogt, Moleschott, Buchner, Feuerbach, Strauss, Heckel, Huxley, Ardigò, Spencer, Littré.
Ma Giuseppe Moscati, figlio “forzato e naturale” del suo tempo, ma tutt’altro che ad esso vincolato, vuole invece il recupero della unità soma-psiche-anima, aiutando globalmente
“la carne sofferente” (fonte).
E’ la simbiosi, il moderno concetto di rapporto medico-paziente finalizzato alla resa migliore, pertanto olistica dell’Uomo Malato. E’ anzi un Medico-Tecnico contro-corrente, fuori-tema, un innovatore scientifico e morale nonché acuto promulgatore di ideologie e proponimenti di alto valore professionale e spirituale, e questo in funzione appunto della cura globale di chi è malato nel corpo. E di tale convinzione il Nostro rimane sempre
“fermo come una roccia”.
Si associa pertanto il senso del dovere morale accanto ad una ricerca disperata di dare un senso alle sofferenze ed all’angoscia del Malato. Il medico vive poi in una posizione particolare perché si trova sempre a cospetto di anime ansiose di trovare un conforto, una speranza, assillate dal dolore. Da qui la Sua frase:
“Beato quel medico che sa comprendere il mistero di questi cuori ed infiammarli di nuovo”.
Dal concetto di prestazione medica ottocentesco, distaccato e freddo, paternalistico, passiamo con Moscati a quello partecipativo, prodromo dell’empatia: è la compassione, cum passionem.
Eccezionale è lo stato dell’Arte medica al momento in cui Moscati si affaccia alla professione.
Nomi altisonanti di Professionisti sono presenti negli Ospedali, nelle Università italiane con particolare riguardo a quella partenopea. Essi sono: il Professore di Clinica Medica di Milano e poi di Napoli Arnaldo Cantani (1837 – 1893) tra i più accesi materialisti anti-religiosi, e poi ancora il Clinco Medico Salvatore Tommasi (Roccaraso, Aq, 1813 – Napoli, 1888), il Fisiologo Giuseppe Albini (Milano 1827 – Torino 1911), Capuano, Tincheri, Amabile, il clinico chirurgo Felice de Renzis, allievo del grande Prof. Leonardo Santoro, Capobianco, De Sanctis, Carlo Gallozzi (Santa Maria Capua Vetere, Caserta, 1820 – Napoli, 1903), il Neuropatologo abruzzese Francesco Vizioli (Abruzzo, ?? – Napoli 1899), Bonomo, dando lustro a Napoli, all’Italia ed all’Europa.
E’ tipica del tempo, ma lo è tuttora, l’arte della Semeiotica: observatio et ratio, la raccolta cioè dei dati clinici con l’anamnesi e l’esame obiettivo del Paziente e Giuseppe Moscati eccelle anche in questo.
Giuseppe Moscati è anche un ottimo organizzatore-manager, con un termine attuale, quando afferma la necessità di una reale collaborazione e di un fattivo confronto fra le diverse professionalità operanti in campo sanitario, quali il medico, l’infermiere, il tecnico diplomato ed il personale amministrativo; e ciò per ottenere la costruzione di una risposta adeguata alle esigenze del Paziente, una sorta di confluenza “ad imbuto” delle risorse a disposizione, finalizzata
al risultato. Non si parla ancora in termini di efficacia ed efficienza, di qualità della prestazione erogata, ma sicuramente il Paziente ha coscienza di essere amato, seguito e curato: la consapevolezza è un sentimento antico.
Si è appena parlato di infermiere: mi fa piacere ricordare la capostipite di tale servizio, ora professione universitaria, la filantropa inglese Florence Nightingale (1823-1910) che per prima, durante la guerra di Crimea del 1853-’55, organizza, in strutture ad hoc allestite, l’accoglienza primaria dei feriti sul campo e l’assistenza medica , in attesa o della morte o del trasporto del ferito in ospedali disponibili. Da noi la Croce Rossa, istituita nel 1864, risulta presente e fattiva nella I° guerra mondiale, e raggiunge la piena attività nel 1926.
Moscati è altresì esaltatore delle risorse della chirurgia, alle quali volentieri affida selezionati casi, così come molti chirurghi a lui si rivolgono sia per una valutazione clinica del caso, che per l’indicazione
operatoria. Famoso il caso del tenore Enrico Caruso, da lui troppo tardi visitato, quando ormai una sepsi generalizzata da ascesso sub-frenico sin. di origine pleuro-polmonare vanifica ogni potenziale risorsa medica: è il 2 agosto 1921.
1906, 8 aprile: eruzione del Vesuvio. Grande impegno umano e professionale del Moscati, che organizza tempestivamente e di persona lo sgombero dei Pazienti dall’Ospedale di Torre del Greco. Il peso delle ceneri e dei lapilli determina il crollo del tetto della struttura, ormai vuota, pochi minuti dopo l’evacuazione.
1908: assistente ordinario nell’Istituto di Chimica Fisiologica. Tale materia è sempre amata dal Moscati e per essa è ricordato come raffinato studioso e grande clinico. Oggi la giusta dizione della materia è Chimica Biologica, cioè lo studio della costituzione chimica degli esseri viventi e dei processi chimici che in essi si compiono; da qui l’applicazione pratica sul Paziente.
1911: in epoca di colera a Napoli, Egli diventa Aiuto ordinario negli Ospedali Riuniti. E’ Maestro nell’esercizio delle autopsie. Socio aggregato alla Regia Accademia medico-chirurgica. Libera docenza in Chimica Fisiologica. Vince il concorso per il servizio di Laboratorio nell’Ospedale Cotugno e quello per medico condotto. Prima della vincita di tale concorso, Moscati sente aleggiare nell’ambiente l’eventualità di brogli a Lui dannosi. Pertanto
scrive al Prof. Calabrese, ordinario di Clinica Medica e presidente della Commissione d’esame:
” … Non posso tollerare la copia degli altri, già troppo protetti, e già lieti di prenotazione ai posti stessi, che sono stati a loro fatti intravedere da amicizie e compromessi pregiudiziali. […] Io non agisco per superbia, ma per un innato senso di giustizia. Guai a toccarmi su questo punto!… “
Questo scritto testimonia il carattere forte del Nostro e la ferrea determinazione sul perseguimento della giustizia.
E’ la volta dell’episodio del Moscati con il paziente di Suor Alessandrina, ateo e terminale per un cancro dello stomaco. Vanificata ogni possibilità terapeutica ed apporto nutrizionale, essendo rare le fleboclisi per nutrizione parenterale ed inutili ormai le infusioni per via ipodermica, il Moscati, dopo lungo conversare, e dopo reiterati episodi di rifiuto, riesce a portare il Suo assistito alla confessione ed alla comunione: per la prima volta dopo tre mesi il paziente,
sorride, un po’ sollevato.
Accanto all’alacre impegno professionale universitario ed ospedaliero, il Prof. Moscati prese in mano l’Istituto di Anatomia Patologica, già diretto dal Prof. Luciano Armanni, decaduto per disinteresse e indolenza. Presto divenne “un vero maestro nell’esercizio delle autopsie”, come affermò il Prof. Quagliariello.
L’Anatomia Patologica è la branca della Medicina che studia “de visu” e purtroppo “a posteriori” il caso clinico. Essa ci fa capire come il medico abbia ragionato ed agito al riguardo. Moscati, Maestro in questa branca, ne esalta il significato, scrivendo su di una parete della Sala Settoria le parole:
“Questo è il luogo dove la morte è lieta di soccorrere la vita…” ,
cioè l’esperienza del passato, la conoscenza e l’apprendimento intelligente siano stimolo per il presente. Ed ancora un’altra scritta sovrasta la precedente, sotto il Crocifisso. Sono le parole del profeta minore dell’VIII° sec.a.C. Osea:
“Sarò la tua morte, o Morte”.
Il significato che Osea vuole trasmettere è quello che chi si immola per il proprio Dio, da’ l’esempio di “non morte spirituale”, di redenzione dal peccato. Un’interpretazione forse laica, praticamente positivista, materialistica, ma personale, è quella che vede come soggetto la “conoscenza-scienza”, la quale quanto più profonda e dotta sarà, tanto più lontano sarà l’appuntamento dell’Uomo con la Morte.
L’opera assistenziale di Moscati è ricca di numerosi esempi di alta scienza ed acume clinico, con risultati egregi per il tempo e per le modeste armi mediche a disposizione. Ma ciò che caratterizza la Sua elevata umanità e lo spirito caritatevole è il fatto di non percepire mai la propria parcella dai poveri. Anzi si conoscono numerosi esempi di elargizione di danaro in modo elegante, non palese.
Ma ecco ora il Santo:
Siamo all’incirca nel 1913-14. In questo tempo Giuseppe ha già fatto voto di povertà e di castità, ribadendolo costantemente sia con le parole che con le testimonianze di vita; egli vive, con grande serenità consapevole, nella dimensione escatologica, sa che il destino dell’uomo dopo la morte lo si può indirizzare con il comportamento attuale. Sono i principi dei Novissimi, le cose ultime cioè, che dettano gli schemi dell’economia della divina provvidenza. Il sentimento cristiano e l’autenticità evangelica nella professione rendono più ricca e sensibile la terapia dello stato di malattia, sicuramente meglio recepita dal paziente. E proprio questo sentimento di consapevolezza del malato mortificato, il quale sperimenta e convive con
l’infermità, si arricchisce con Moscati della speranza che dà la Fede: si ottiene una sorta di diluizione forse del dolore, ma sicuramente dell’angoscia, raggiungendo un nuovo equilibrio con Dio.
1911 – ’23: Insegnamento all’Ospedale di Santa Maria del Popolo degli Incurabili, prima in Chimica Fisiologica, poi in Clinica Medica, ceduto generosamente nel 1923 allo stimato amico e collega professor Quagliarello. Questo edificio è la massima struttura ospedaliera di Napoli e del Sud, ed anche la più antica, essendo stata costruita nel 1519. Da sempre quindi sede di studio e ricerca, assistenza e didattica. E di questo Giuseppe Moscati ne è conscio e fiero.
1914: muore la Madre, Sig.ra Rosa. Non sono riuscito a trovare la data di nascita della Madre di Giuseppe. Comunque Ella dovrebbe avere circa 70 anni. Muore per complicanze del diabete della quale è portatrice da tempo imprecisato. Moscati è il primo medico in Italia ad impiegare l’insulina, reperita negli USA da un Suo allievo, e proprio sulla Madre. L’impiego diffuso di tale ormone avverrà solo 5 anni più tardi, nel 1919.
1915 – 1918: durante la I° Guerra Mondiale è Direttore del Reparto Militare. Moscati vorrebbe partire militare con arruolamento volontario, ma gli è negato. Cura oltre 3.000 militari dei quali tiene accurate e dotte cartelle cliniche.
1919: Primario della III° Sala degli Incurabili. E’ questa l’epoca della ricostruzione, del risanamento e del riordino della Napoli del dopoguerra. Moscati è molto attento alla realtà fisica ed emotiva, ama tutto ciò che vive: Napoli e la sua gente, la cultura ed il singolo, il bello della natura ed il suo stato negativo, la malattia e l’uomo sofferente. Aborrisce però e lotta strenuamente contro l’ingiustizia, l’inganno e la disonestà. Si occupa con perizia e critica molto il piano regolatore urbanistico, proiettato verso la speculazione indiscriminata, il brutto, l’antiestetico. Si batte, purtroppo invano, affinché non sia venduto a privati il Palazzo Zapata-Boerio, donato agli Incurabili dal Prof. Cotugno. Enuncia quindi la famosa frase:
“Non il terremoto, non il Vesuvio né il cataclisma distruggerà mai Napoli, ma i napoletani”.
1922: Libera docenza, per titoli, in Clinica Medica Generale. Questa è una Sua frase:
“Il progresso sta in una continua critica di quanto apprendemmo”.
Nel 1924 Giovanni Gentile, senatore e ministro della Pubblica Istruzione, fautore della rinascita dell’Idealismo hegeliano, istituisce la clinicizzazione degli Ospedali, che comporta la perdita della didattica ospedaliera per gli studenti ed i giovani medici specializzandi. Grave contrarietà per Giuseppe, il quale, nonostante molte lettere tuonanti indirizzate a figure professionali e politiche del tempo, tra le quali Benedetto Croce, deve accettare la mortificazione professionale voluta di certo per aumentare il prestigio ed il carisma degli Universitari, a scapito di grandi personalità
ospedaliere.
Di converso Moscati si batte con il cuore e con la ragione contro l’eugenetica, programma ideologico estremista del momento, promulgata in particolare dall’inglese Francis Galton (Sparkbrook – Birmingham, 1822 – Haslemere, Surrey, 1911). Tale scienza tratta dei fattori che migliorano le qualità congenite di un essere umano. E’ il concetto della razza ariana della imminente propaganda nel 1930 del nazional-socialismo di Adolf Hitler ((Braunau am Inn, 1889 – Berlino, 1945), il quale lesse ed interpretò l’eugenetica con l’eliminazione fisica delle razze non germaniche.
Lo studio, l’impegno professionale, le battaglie interne all’ambiente di lavoro ed esterne nel mondo politico e sociale, unite ad una grave compromissione della vista che molto lo affligge (è anche lui diabetico?), fanno cadere il Nostro in una profonda depressione psico-fisica. E’ probabilmente l’annuncio di una grave malattia cardiaca e forse metabolica, mai confidata, magari discussa ed accettata con Dio. Ecco che arriviamo al
1927, 4 aprile: visita a Padre Casimiro. Giuseppe Moscati va a fare visita al Passionista, suo caro amico e confessore, malato da quattro mesi. Dopo un accurato esame clinico gli prospetta un’ imminente guarigione, con la frase
“fra poco si alzerà e la prima messa che dirà, l’applicherà per me”.
Il Medico intuisce la propria fine a breve termine.
1927, martedì 12 aprile, Moscati muore improvvisamente per un attacco di cuore, alle h. 15.00, nel suo umile ed essenziale studio della “Sua” Napoli. La gente dice:
“il mondo ha perduto un Santo, Napoli un esemplare di tutte le virtù, i malati poveri hanno perduto tutto”.
La causa del decesso sembra essere quella di una miocardite virale in corso di una sindrome influenzale piuttosto protratta con aritmia fatale, come suggerito dall’Anatomo Patologo Dr. Gennaro Giannini, allievo di Moscati.
Egli fu sepolto nella Cappella dell’Arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini, nel Cimitero di Poggioreale e tre anni dopo, il 16 novembre 1930, in seguito alle richieste di numerose personalità laiche e del clero, l’Arcivescovo di Napoli, il cardinale Alessio Ascalesi concesse il trasferimento della salma alla Chiesa del Gesù Nuovo.
1975, il 16 novembre Giuseppe Moscati viene dichiarato Beato da Paolo VI°.
1987, il 25 ottobre Giovanni Paolo II° lo dichiara Santo e viene quindi eletto Patrono dei Medici Cattolici.
All’inizio di questo articolo avevo detto che la vita di San Giuseppe Moscati era caratterizzata dall’amore e questa, siamo d’accordo, è la verità. Ma prima di concludere questo intervento, desidero ricordare alcune cose.
La prima è questa: nel 2000 il Professor Umberto Veronesi, grande ateo, allora Ministro della Sanità, ha affermato con profonda convinzione e sentimento:
“la medicina cura il dolore, l’amore cura la sofferenza”.
Frase che tutti noi dovremmo quotidianamente ricordare ed applicare quando ci rapportiamo con il prossimo bisognoso.
La seconda e terza cosa da sottolineare riguardano due aneddoti familiari che riguardano mia nonna materna Maria Poggioli Zuccarini, classe 1896. Il prozio, il Dr. Michelangelo Poggioli, (morto a Roma il 4 maggio 1850) medico del Papa Giuseppe Sarto, Pio X°, fondò a Roma sulle pendici del Gianicolo, prima di 3 sedi, l’Orto Botanico nel 1803 e lo diresse fino al 1835. Mia nonna ricorda una sua frase riferita dalla propria madre, Agnese, da lui accompagnata una volta in visita in quel luogo da favola. Ella rimase colpita dalla bellezza e varietà delle piante, così diverse per forma, origine e soprattutto comprese le difficoltà e le esigenze della loro cura. Alla domanda di come fosse riuscito a mantenere così florida quella meraviglia della natura, il Medico rispose:
“vedi cara Agnese, ho studiato molto, io ed i miei Collaboratori, ma anche le piante, per stare bene hanno bisogno di amore”.
In ultimo, ancora nonna Maria. Mi ricordo, fra l’altro, la sua magnifica arte del cucinare. Lei, fra gli ingredienti, diceva, di non dimenticare mai l’amore.
Questa parola, non a caso, apre e chiude il mio articolo.
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